Un altro importante tema che riguarda le nostre montagne è legato al fenomeno dello spopolamento che interessa particolarmente, e con tassi più o meno elevati, tutte le aree montane italiane, Alpi e Appennini, con le sole eccezioni di Trentino-Alto Adige e Valle d’Aosta che hanno puntato a perseguire politiche pubbliche adeguate e specifiche allo scopo di favorire la vita nelle Terre Alte. Come responsabile del Dipartimento per le aree montane della Lega, risulta per me fondamentale affrontare con chiarezza questo tema allo scopo di proporre politiche mirate e di sostegno alle popolazioni montane, spesso ignorate, e alle quali frequentemente vengono imposte norme standardizzate e non adatte alla realtà del mondo della montagna.
Il rapporto “La montagna perduta - Come la pianura ha condizionato lo sviluppo italiano” pubblicato da A. Preiti nel 2016 sottolinea che, a differenza del divario Nord-Sud ampiamente documentato da studi e rapporti, non esiste un analogo riscontro del divario tra montagna e pianura. Eppure, anche se con differenze marcate tra regioni, questo divario esiste e costituisce ciò che si potrebbe definire “la questione montana” dell’Italia.
L’indicatore più significativo di questo divario è quello demografico. Laddove il saldo migratorio è negativo, le condizioni economiche e sociali sono inferiori a quelle di altri territori. Dal 1951 al 2011, la popolazione italiana è globalmente cresciuta di 12 milioni di abitanti; questo incremento si può suddividere nel modo seguente: zone di pianura: + 8,8 milioni di abitanti; zone collinari: + 4 milioni di abitanti e zone montagnose: - 900.000 abitanti.
Nel 1951 la popolazione montana rappresentava il 41,8% della popolazione totale italiana, mentre 60 anni dopo non ne rappresentava più che il 26%.
> Uno spopolamento montano disomogeneo
Il seguente grafico mostra in modo lampante come lo spopolamento montano nelle Alpi e negli Appennini si sia verificato in modo più marcato e rapido nelle regioni in cui la quota della popolazione montana era meno importante, cioè inferiore al 20% della popolazione regionale totale (Emilia-Romagna, Friuli-Venezia Giulia, Lazio, Marche, Sardegna, Campania, Piemonte, Lombardia ecc...).
Grafico 2. Variazione della quota di popolazione della montagna 1951-2009
Nelle regioni invece in cui la quota di popolazione montana era superiore al 30%, lo spopolamento è stato meno ripido. Le principali cause di questo fenomeno vanno ricercate nelle scelte delle politiche pubbliche e strategiche diverse a seconda del peso della popolazione montana in una regione, nell’andamento dell’agricoltura alla quale lo sviluppo montano è strettamente collegato e nella presenza di offerta culturale e di servizi. Infine, di fondamentale importanza è il legame tra dotazione in infrastrutture di un territorio montano e variazioni demografiche. Se nella maggior parte delle aree montane, la popolazione residente ha subito una netta diminuzione negli ultimi decenni, è tuttavia importante rilevare che due regioni fanno eccezione in modo molto vistoso: Il Trentino-Alto Adige e la Valle d’Aosta.
Grafico 3 - Crescita della popolazione montana: crescita cumulata 1951-2009
Il Trentino-Alto Adige e la Valle d’Aosta sono regioni in cui la popolazione montana ha addirittura registrato un incremento netto. Questo è anche vero per la Lombardia, ma in questo caso la crescita della popolazione montana è avvenuta solamente in termini assoluti e non in percentuale della popolazione regionale (inferiore al 10% circa). Le ragioni principali della crescita demografica in Trentino-Alto Adige e Valle d’Aosta sono state una spesa pubblica in infrastrutture non minore, anche se con un costo più elevato, una buona accessibilità ai servizi pubblici (sanità, istruzione, trasporti) ed una buona qualità della vita civile, ed infine un’agricoltura moderna, competitiva e che ha fatto perno sull’eticità ed autenticità delle produzioni montane. Sulla base di queste osservazioni, l’autore del rapporto conclude che con politiche pubbliche adeguate e favorevoli, la montagna può addirittura guidare lo sviluppo economico del paese.
Questi dati ed osservazioni vengono confortati dall’Istituto Nazionale di Statistica (ISTAT) che, nel suo “Rapporto sul territorio 2020”, osserva che dal 1972 al 2014, quasi tutte le regioni con predominanza montana (Liguria, Molise, Basilicata, Calabria) hanno registrato tassi di crescita demografici negativi o vicini allo zero. Anche l’ISTAT osserva che le regioni del Trentino-Alto Adige e della Valle d’Aosta non obbediscono a questo andamento poiché sono state capaci di fare leva sulle loro potenzialità per innescare una crescita economica e demografica.
Grafico 4: Popolazione residente in zona montana e tasso di crescita medio annuo per regione 2014 (ISTAT)
Interessante anche la sezione del rapporto ISTAT del territorio dedicata alle Aree interne ed in spopolamento, la cui definizione però è più vasta di quella di zone montane: “comuni significativamente distanti dall’offerta di servizi essenziali (mobilità collettiva, sanità, istruzione universitaria) in termini di tempi di percorrenza”.
> Le Alpi
Il rapporto intitolato “Le Alpi. La gente” - Antropologia delle piccole comunità. Movimenti demografici. Condizione femminile. Prospettive di sviluppo” di M.Zucca (2006) fornisce ulteriori spunti di riflessione. L’autore osserva che la maggioranza dei comuni alpini italiani registra un decremento demografico. I tassi di decremento vengono definiti “spaventosi” per regioni quali ad esempio il Friuli-Venezia Giulia (86%) o il Piemonte (77%).
Tabella 1 : tasso di decremento demografico (1951-2001) - p. 26
L’opera fornisce un’analisi sintetica dell’andamento demografico per regione alpina dal 1951 al 2001.
La mappa successiva illustra in modo abbastanza evidente l’andamento demografico nelle Alpi dal 1951 al 2011: comuni in decremento (rossi) o in crescita (verdi). Come si può vedere, le Alpi occidentali e orientali hanno registrato una decrescita importante. L’Alto Adige ed ampie zone della Valle d’Aosta vanno in senso opposto ed il Trentino si situa in una posizione intermedia.
> Gli Appennini
Slow Food Italia, l’Università degli Studi di Scienze Gastronomiche (UniSG), L’ Istituto Superiore per la Protezione e Ricerca Ambientale (ISPRA), l’Università La Sapienza di Roma e l’Università degli Studi del Molise (UNIMOL) hanno realizzato uno studio dedicato ai cambiamenti nelle zone appenniniche dagli anni 1950/60 ad oggi intitolato “I comuni e le comunità appenninici: evoluzione del territorio”. Secondo i dati di questo studio, la popolazione appenninica rappresenta circa il 5,2% della popolazione italiana e corrisponde a circa 2.805.000 abitanti. Emerge anche dai dati raccolti che 77% dei comuni è interessato da un fenomeno di spopolamento. Questi territori montani sono inoltre colpiti da un problema di invecchiamento: l’indice di dipendenza strutturale medio che prende in considerazione la percentuale di abitanti in età non attiva (minore di 14 e maggiore di 65) rispetto a quelli in età attiva, è difatti del 62,3% e di 55,6% nel resto d’Italia.
Variazione relativa della popolazione appenninica (1971-2014)
In “La montagna abbandonata”- Altraeconomia Febbraio 2013 viene presentato un esempio eclatante di spopolamento, l’esempio del comune di Bardi che conta poco più di 2000 abitanti (Emilia-Romagna, provincia di Parma) il cui spopolamento demografico va di pari passi con la crisi dell’economia agricola locale. Negli ultimi 50 anni (dal 2013) la popolazione del Comune è diminuita del 60% e si è ridotta ad un quarto rispetto al 1911. Questi dati hanno una loro valenza se si considera che il territorio italiano è composto di 8.092 comuni di cui quasi la metà (44%) hanno meno di 2000 abitanti. Se vengono presi in considerazione i soli comuni di montagna (2.596) la situazione diventa ancora più interessante, e Bardi diviene un caso emblematico.
In conclusione si può dire che negli ultimi decenni seppur la popolazione italiana sia cresciuta, quella delle aree montane è andata gradualmente ma nettamente a ridursi, mostrando una marcatura e rapidità nelle regioni con una quota della popolazione montana regionale meno importante. La sfida per invertire questo trend è, sull’esempio delle regioni Trentino-Alto Adige e Valle d’Aosta, quella di implementare le politiche a favore dell’occupazione, mirate e specifiche per le aree montane che negli ultimi anni hanno sofferto una perdita di attrattiva occupazionale (spesso legata anche al livello di infrastutture, servizi e rete digitale) e dunque spopolamento. Obiettivo che rientra tra le priorità del Dipartimento per le politiche montane della Lega, in concerto con gli Enti locali, per intercettare e sfruttare le opportunità proveninenti da Regioni, Stato ed Europa e rispondere alle esigenze del territorio contro lo spopolamento e un sistema di servizi ed infrastrutture non sempre efficiente che va ripensato tenendo in considerazioni le peculiarità di un ambiente spesso difficile.
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